vescovo e dottore della Chiesa (ca. 565-636) 4 aprile
Meritò la reputazione di uomo più sapiente del suo tempo. Papa Giovanni XXIII fu ispirato dal ritratto del vescovo ideale fatto da Isidoro, il quale affermava:”Ogni vescovo dovrebbe essere contraddistinto tanto dalla sua umiltà quanto dalla sua autorità.”Si hanno poche notizie certe sui primi anni di vita di Isidoro. Suo padre Saveriano proveniva forse da Cartagena in Spagna, ed era di nobile estrazione ispano-romana; Isidoro nacque probabilmente a Siviglia, dove la famiglia si era trasferita durante l’invasione di Cartagena. Alla sua famiglia appartenevano anche S. Leandro (13 mar.) vescovo i di Siviglia, S. Fulgenzio (14 gen.) vescovo di Astigi e S. Fiorentina, badessa di vari conventi. Pare che fosse Leandro ad occuparsi dell’istruzione d’Isidoro, che potrebbe essere avvenuta in una delle scuole episcopali o monastiche fiorite in Spagna a quel tempo. In ogni modo, egli ereditò un ottimo patrimonio culturale divenendo la persona più erudita della sua generazione e un’autorità indiscussa per tutto il Medio Evo su un vasto numero di argomenti; ci sono più copie manoscritte delle sue opere che di qualunque altro autore.
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Due scopi animarono i suoi studi e gli scritti: fermare l’espansione del paganesimo; in Spagna e combattere l’eresia ariana comune tra i visigoti. Egli aveva accolto di buon grado l’unità politica e religiosa che questi avevano portato e li considerava successori dei romani e salvatori della Spagna; riteneva però necessario, per servire la nuova nazione, la
custodia delle diverse tradizioni di pensiero e di cultura e provò a fornire un tale compendio (Fontane).
Intorno al 600 successe a suo fratello come vescovo di Siviglia. Non si hanno particolari sulla sua attività pastorale di vescovo, ma dai suoi scritti emerge l’idea che un vescovo dovesse prima vincere i propri desideri personali per poi predicare con umiltà e integrità, dando il buon esempio, predicando la fede con efficacia e comportandosi come un buon pastore che ha a cuore il suo gregge, proprio come un dottore ha a cuore la salute dei propri pazienti. Papa Giovanni XXIII fu ispirato dal ritratto del vescovo ideale fatto da Isidoro:
«Colui a cui è data l’autorità di educare e istruire la gente, per il loro bene deve essere santo in tutte le cose e biasimevole in nessuna [...]. Ogni vescovo dovrebbe essere contraddistinto tanto dalla sua umiltà quanto dalla sua autorità [...].Conserverà anche quella carità che supera in importanza tutti gli altri doni e senza la quale tutta la virtù non ha valore alcuno» (dal De officiis ecclesiasticis).
Con l’incarico di vescovo presiedette due concili, uno provinciale a Siviglia nel 619 e uno nazionale a Toledo (il IV concilio di Toledo) nel 633; entrambi contribuirono a promuovere decreti importanti e a mostrare le sue qualità di amministratore e uomo di pensiero. Il Credo, redatto a Toledo nel 633, si basava sulla sua teologia della Trinità e dell’Incarnazione e fu accettato come definizione corretta di fede dai concili seguenti.
«Ebbe una grande influenza sull’accettazione del concetto di Filioque in Occidente»(O.D.C.C).
Il concilio di Toledo stabilì anche una liturgia uniforme da seguirsi in tutta la Spagna, il famoso rito mozarabico, in gran parte opera d’Isidoro stesso, e decretò che ogni diocesi dovesse avere una scuola cattedrale. Oltre a svolgere un’attività importante come
vescovo, fu celebrato come grande scrittore per quasi mille anni.
«Fondò una scuola di chierici eruditi in Spagna, ed ebbe un impatto profondo sulla cultura e la pratica didattica dell’Europa occidentale in epoca medievale. [...] Le sue opere costituirono un deposito di conoscenze utilizzate liberamente da innumerevoli autori medievali» (O.D.C.C).
I suoi scritti storici sono tuttora una fonte attendibile per conoscere la Spagna al tempo delle invasioni barbariche, mentre il suo lavoro più famoso, l’Etymologiae, può essere considerato come un’enciclopedia del suo tempo, contenente notizie su materie quali grammatica, retorica, matematica, medicina e storia, così come sui libri e i riti della Chiesa e altre questioni teologiche.
I suoi scritti non hanno però solo un valore storico, ma mostrano l’ingegno di un uomo profondamente interessato alle questioni spirituali, desideroso di istruire il suo clero e il suo popolo su argomenti della fede. Insegnò loro, infatti, l’importanza dello studio della Scrittura:
«Se qualcuno vuole essere sempre con Dio, dovrebbe pregare spesso e leggere anche spesso. Perché quando preghiamo, siamo noi che parliamo a Dio, mentre quando leggiamo, è Dio che ci parla. [...] Quanto più uno s’impegna ad acquistare familiarità con le Sacre Scritture, tanto più ricca sarà la comprensione che ne trarrà, come succede per la terra: più è coltivata, più abbondante è il raccolto», (dal Libro delle Sentenze).
Gli scritti di Isidoro sono stati spesso criticati in quanto fondamentalmente derivati da altri e carenti di originalità. Pur essendo vero che spesso egli s’ispira a scrittori precedenti, i più
recenti studi sulle sue opere sono orientati alla loro rivalutazione e alla messa in luce degli elementi originali che vi sono contenuti. Esiste un racconto dettagliato e affidabile della morte di Isidoro, avvenuta nel 636, scritto da uno dei suoi discepoli, diacono a Siviglia.
Isidoro si preparò alla morte offrendo in elemosina tutti i propri beni e chiedendo perdono pubblicamente; fu poi portato in chiesa, vestito di tela di sacco da uno dei suoi vescovi suffraganei e, mentre un altro cospargeva il suo capo di cenere, confessò i propri peccati all’assemblea. Ricevette la santa comunione e fu riportato nella sua stanza dove morì pochi giorni dopo, il 4 aprile.
Sebbene il suo nome appaia in alcuni elenchi di santi dal IX secolo in avanti, non vi è prova che sia stato diffusamente venerato come santo fino a quando le sue spoglie furono trasferite a Leon nel 1063 (dove si trovano tuttora); da quel momento apparvero panegirici con resoconti dei miracoli operati grazie alla sua intercessione. Il nuovo luogo di sepoltura divenne una meta di pellegrinaggio molto popolare, anche perché si trovava sul cammino per Compostella. La relativa mancanza di notizie sulla sua santità nei secoli seguenti la sua morte, può essere in parte spiegata dallo spazio ridotto riservato ai confessori rispetto ai martiri nella liturgia mozarabica.
Non fu introdotto nel Martirologio Romano fino alla fine del XVI secolo; il suo culto fu approvato ufficialmente nel 1598; nel 1722 fu dichiarato dottore della Chiesa da Innocenzo XIII , titolo che gli era già stato riconosciuto a livello locale, poco dopo la sua morte, da un concilio di Toledo.
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