passiva,
ma è accoglimento della croce, è accettazione della volontà del Padre.
E’ una visione bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati
a vitaSe è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno
cristiano,dobbiamo fare attenzione al pericolo che stiamo correndo:
quello che san Paolo chiama “l’evacuazione della croce” la croce rimane
sempre al centro delle nostre prospettive, ma noi vi giriamo al largo,
come quando,si sfiora una città passando dalla tangenziale. L’automobile
corre sulla strada, si da un’occhiata ai campanili, ma tutto finisce lì
Santa
Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e
il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi
perché possiamo affrontare la notte. E’ una esperienza che hai gia fatto
con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio
su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piantati sotto
la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre
Se
è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche
schiodare tutti coloro che vi sono appesi,noi oggi siamo chiamati a un
compito dalla portata storica senza precedenti: “Sciogliere le catene
inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi” (Is
58,6). Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il “belvedere” delle nostre
contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme
sotto la sua croce personale,ma dobbiamo anche individuare, con coraggio
e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
L’accoglienza
porta diritto al cuore del crocifisso. Dobbiamo accogliere il fratello
come un dono,non come un rivale o un possibile concorrente. Accogliere
il fratello con tutti i suoi bagagli, perché non ci vuole molto ad
accettare il prossimo senza nome,contorni, o fisionomia. Ma occorre una
gran fatica per accettare chi abita di fronte a casa mia .
La
riconciliazione verso i nostri nemici: noi dobbiamo assolutamente dare
un aiuto al fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti,
stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il dialogo, porgere
aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare
ogni tipo
di rapporto. E’ su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la
pendenza del nostro egoismo e a misurare la nostra fedeltà al mistero
della croce.
Gesù non è vittima della forza del destino; è salito sulla croce perché l’ha voluto.
La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglimento
della croce, è accettazione della volontà del Padre. E’ una visione
bellissima, che ci schioda dalla situazione di condannati a vita
Purtroppo
la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui
tornanti del Golgota. Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo
“inquadrata” nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della
sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di
casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro
collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini in
chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica
Al
Golgota si va in corteo, pregando, lottando, soffrendo con gli altri.
Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che,
proprio per avanzare insieme, si danno delle norme,dei progetti, delle
regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si
rompe il tessuto di una comunione che,una volta lacerata,richiederà
tempi lunghi per pazienti ricuciture
La
croce, l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle
recintate, nel centro storico delle nostre memorie religiose,
all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo
lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla
carta stradale della nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto
che porta ai piedi del condannato!
Collocazione
provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la
croce. La mia, la tua croce,non solo quella di Gesù. Coraggio, allora:
la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione
provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata,non è zona residenziale.
E il terreno di questa collina, dove si consumala tua sofferenza,non si
vedrà mai come suolo edificatorio
C’è
una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di
Cristo: “Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta
la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una
delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che
stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al
buio di infierire sulla terra. Ecco le sponde che delimitano il fiume
delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi
circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si
consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo
Un
giorno, quando avrete finito di percorrere la mulattiera del Calvario e
avrete sperimentato come Cristo l’agonia del patibolo, si squarceranno
da cima a fondo i veli che avvolgono il tempio della storia e finalmente
saprete che la vostra vita non è stata inutile. Che il vostro
dolore ha alimentato l’economia sommersa della grazia. Che il vostro
martirio non è stato un assurdo, ma a ingrossato il fiume della
redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra.
Coraggio,
fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. Ecco
già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico,
intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua
fronte. Ecco un grembo di donna che ti avvolge di tenerezza. Coraggio!
Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio
cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori e il sole
della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Riconciliamoci
con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre
paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino
la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno ” Da lì le
sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i
travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani
saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di
un mondo nuovo
DON TONINO BELLO
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