(1827-1922) 20 NOVEMBRE
Anna Felice, terza di nove figli di Luigi Viti e Anna Bono, nacque il 10 febbraio 1827 nella casa di famiglia a Veroli, a sud est di Roma. Suo padre portava avanti con successo una fabbrica nei dintorni di Frosinone, ma quando Anna aveva poco più di dieci anni, la famiglia subì due gravi perdite Luigi perse o fu frodato di tutto il suo denaro, tanto che l’attività fallì, e quasi simultaneamente sua moglie morì di crepacuore a 36 anni. Egli rimase talmente stordito dalla perdita subita da diventare totalmente apatico e incapace di far fronte alle necessità della sua numerosa famiglia.Rimasta senza la mamma finisce per occuparsi fin troppo presto di una famiglia assai numerosa, di un padre violento e incapace. Al servizio della famiglia passerà a quello del convento nel quale l’umiltà e il sorriso non basteranno a ricordarla, se non dopo una serie di miracoli avvenuti sul luogo della sua sepoltura che la porteranno così, ai giusti onori.
Anna non divenne solo “madre” per i fratelli e le sorelle, ma anche “padre”, nel senso che andava a servizio
presso una famiglia di vicini per guadagnare i soldi necessari al loro
mantenimento. La sua maggiore occupazione era fare in modo che in casa
tutti rispettassero quel padre collerico, alcolizzato e ridotto in miseria, come era capace di fare lei, che ogni sera gli baciava la mano e gli chiedeva la benedizione, ingoiando lacrime e umiliazioni: e pensare che l’avevano battezzata Anna Felice e da suora l’avrebbero chiamata Fortunata!
Anna fu corteggiata, per un certo periodo, da un ricco giovane di Alatri, ma decise definitivamente di non sposarlo. Il 21 marzo 1851, dopo aver riflettuto a lungo, all’età di 24 anni, decise di entrare nel convento delle
“monache buone”, cioè le benedettine della sua città. Si conserva di
lei il fermo proposito, formulato in quel giorno, di “farsi santa”: non
sa che per raggiungere l’obiettivo dovrà vivere più di 70 anni, “sepolta
viva” nell’anonimato della sua cella, con giornate tutte uguali, scandite da azioni ripetitive che qualcuno potrebbe anche definire monotone: filare e cucire, lavare e rammendare.
E pregare, anche se questo per lei non doveva essere un problema,
assorbita come sempre sembra nella contemplazione del suo Dio. Soltanto
dopo si potrà scoprire quanta aridità spirituale si nascondeva dietro quel suo fervore; quanti tormenti ed intimi combattimenti venivano coperti dalla sua apparente imperturbabile serenità.Non sa né leggere né scrivere per le sue ben note vicende familiari e così non può essere ammessa tra le “coriste”, cioè le monache che si dedicano alle funzioni liturgiche. Per lei soltanto il lavoro, con la giornata che inizia alle tre e mezza di mattinata e prosegue in azioni faticose e umili, che lei compie così bene da farle diventare un capolavoro, condendole con tanta preghiera.
A Veroli, come suora conversa, con il nome di Maria Fortunata. Per quasi settantadue anni visse intensamente secondo l’ideale benedettino della preghiera e del lavoro basato sulla carità, talvolta svolgendo mansioni di assistente infermiera e anche di guardiana. La sua pietà cristocentrica venne influenzata anche dalla spiritualità passionista e da quella cappuccina, ma Maria Fortunata fu essenzialmente benedettina. Frusta di lavoro e consumata dagli anni, tormentata dai reumatismi che negli ultimi anni la costringono a letto, incapace anche del più piccolo movimento, si spegne cieca, sorda e rattrappita, dopo 72 anni di clausura, e quasi 96 anni di vita, nel 1922. Di lei sembra non accorgersi nessuno e così la seppelliscono in fretta, il giorno dopo, nella fossa comune. Ma la tirano fuori 13 anni dopo, a furor di popolo, e la seppelliscono in chiesa; tanti sono i miracoli che si verificano sulla sua tomba. E non basta: Paolo VI, nel 1967, proclama beata Suor Maria Fortunata Viti, la suora che, lavorando e sorridendo, si era fatta santa nella monotonia del quotidiano, nel chiuso di un convento e con un sacco di malanni, e che da allora possiamo festeggiare il 20 novembre. Paolo VI, in quell’occasione ha parlato della sua “grandezza e umiltà”.
Fonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler/ www.santiebeati.it/dettaglio/90442
Nessun commento:
Posta un commento