sacerdote (1510-1572) 10 ottobre
Francesco Borgia (Francisco de Borja y Aragón) nacque a Gandia sulla costa orientale della Spagna nel 1510, pronipote di papa Alessandro VI e di re Ferdinando d’Aragona e cugino dell’imperatore Carlo V. Figlio maggiore di Giovanni, terzo duca di Gandia, e di Giovanna d’Aragona, fu chiamato a prestare servizio alla corte imperiale all’età di diciotto anni, e nel 1529 sposò Eleonora de Castro, dalla quale ebbe otto figli. L’anno successivo fu fatto marchese di Llombay, dando inizio a una carriera spesa al servizio dell’imperatore e godendo degli onori riservati a una persona di così alto rango.Grande esempio di uomo che, pur avendo enormi ricchezze e godendo di una posizione elevatissima, diventa santo rinunciando a tutto per amore di Cristo e il coinvolgimento nelle cose pubbliche, sia politiche che religiose, non gli impedirono di maturare una vita interiore di preghiera e mortificazione
Nel 1539 si verificarono due eventi che lo colpirono profondamente: la morte dell’imperatrice Isabella e la nomina a viceré di Catalogna. Il primo gli fece aprire gli occhi sulla vacuità degli onori terreni, tanto che in seguito avrebbe riconosciuto in questa esperienza il principio della propria conversione a una condotta di vita più spirituale; il secondo lo obbligò a lasciare la corte imperiale.
La sua vita ne risentì e, pur essendo ancora impegnato in pubblici affari, trovò il modo di dedicare più tempo alla preghiera e adottare un regime di vita più austero,
aiutato in questo percorso dall’influenza di S. Pietro di Alcantara (19
ott.) e del B. Pietro Favre (11 ago.), uno dei primi gesuiti.
Francesco, al tempo stesso, non si sottrasse certo alle sue
responsabilità pubbliche e diede prova di essere un amministratore efficiente, facendo molti sforzi per lottare contro la corruzione della vita pubblica.
Nel 1543 succedette al padre come duca di
Gandia e pareva ormai destinato a diventare uno dei più potenti e
rispettati nobili di Spagna. La sua carriera invece conobbe una stasi,
per l’opposizione ricevuta alle sue riforme, e, ritiratosi nei propri
possedimenti, condusse una vita più isolata e dedita a molte opere buone, tra cui la fondazione di un ospedale e di un’università per la nuova Compagnia di Gesù. Egli aveva conosciuto i gesuiti quando il loro primo gruppo visitò quella parte di Spagna e ne rimase ben impressionato.
Era un padre di famiglia affettuoso, interamente dedito alla moglie e ai figli, circondato per di più da molti amici, del cui benessere si preoccupò costantemente nel corso della sua esistenza. Nel 1546, alla
morte della moglie, decise di abbandonare completamente la vita
pubblica e di rinunciare a tutte le proprietà per entrare nella
Compagnia, e nel 1550, sistemati gli affari e provveduto alle
necessità dei figli, andò a Roma per incontrare S. Ignazio di Loyola (31
lug.) e cominciare ufficialmente la propria vita di religioso. Tutto il
resto della sua vita fu caratterizzato da una tensione continua tra il desiderio di vivere in solitudine e le pressanti richieste che gli venivano rivolte per via del suo nome e delle sue capacità amministrative.Mentre si trovava a Roma, per esempio, fu coinvolto nella fondazione del Collegio Romano (che diventerà in seguito l’università Gregoriana) e nella raccolta di fondi per la sua realizzazione. Alcuni mesi dopo tornò in Spagna, nell’eremo di Onate, vicino a Loyola, per prepararsi all’ordinazione, che avvenne nel 1551. Riuscì quindi a
trascorrere un po’ di tempo in un relativo isolamento, scrivendo trattati spirituali, pregando e predicando e gli dovettero persino ordinare di alleggerire le mortificazioni corporali (che in seguito lui stesso ammise essere state eccessive).
D’altra parte non potè evitare completamente gli impegni pubblici: l’imperatore gli chiese due volte di fare visita alla regina madre, Giovanna “la Pazza”, che era nella fase terminale della malattia, ed espresse per di più l’intenzione di proporre Francesco per l’elevazione al cardinalato. Egli dunque fece subito i voti semplici come membro professo della Compagnia, e questo, implicando la rinuncia a tutti gli uffici elevati e a tutti i titoli, gli permise di evitare la nomina.
Carlo V, comunque, non smise di coinvolgerlo, sia nominando Francesco come uno dei propri esecutori quando nel 1555 abdicò, sia consultandosi sempre con lui su questioni spirituali e politiche. Egli fu anche scelto dalla figlia dell’imperatore, che era viceré di Spagna, come consigliere spirituale e il successore di Carlo, Filippo II, chiedeva il suo parere su importanti nomine politiche. Questa influenza sui più alti livelli gerarchici della società gli procurò molti nemici e a un certo punto le accuse calunniose di sfruttare la posizione rivestita iniziarono a insinuarsi nello stesso Filippo. Per evitare che le cose degenerassero, Francesco, nel 1559, fuggì in Portogallo, con la speranza di poter condurre una vita solitaria e distaccata, ma il suo isolamento fu di breve durata: nel 1561 fu chiamato a Roma dal preposito generale della Compagnia, Lainez, per rivestire la carica di vicario durante il periodo in cui Lainez sarebbe stato impegnato nella partecipazione al Concilio di Trento.
Gli anni trascorsi in Spagna lo
videro impegnato a diffondervi la Compagnia: nominato nel 1554 da S.
Ignazio commissario per quel paese, Francesco fu effettivamente in grado
di fondare dodici collegi e un noviziato. Sempre durante il periodo spagnolo, ebbe modo di incontrare S. Teresa d’Avila (15
ott.) e successivamente la santa raccontò come Francesco le avesse dato
“medicine e consigli” sulle difficoltà che stava attraversando nella
preghiera”; campo in cui egli aveva, a suo giudizio, “una grande
esperienza”.
Alla morte di Lainez, avvenuta nel 1565, Francesco fu eletto generale della Compagnia di Gesù. Il resto della sua vita fu dedicato a due scopi: rafforzare la Compagnia, sia cercando di diffonderla ed espanderla sia prestando grande attenzione alla formazione spirituale dei suoi membri; e promuovere l’attività missionaria
per portare il cattolicesimo fuori e dentro l’Europa, soprattutto dove
la fede era stata intaccata dal protestantesimo. Si adoperò strenuamente
anche perché si istituissero in ogni provincia della Compagnia
noviziati ben guidati, scrivendo a questo scopo regolamenti per i
maestri dei novizi e parecchie lettere di ammaestramento spirituale per i
novizi stessi. Sotto la sua direzione fu completata la ratio studiorum e
furono riviste e ultimate le Costituzioni della Compagnia, pubblicate
per la prima volta dal suo predecessore. Sviluppò il Collegio Romano, cominciò l’edificazione della chiesa del Gesù e fece costruire la chiesa di S. Andrea sul Quirinale vicino al noviziato romano della Compagnia.
A lui si deve la fondazione di una nuova provincia in Polonia, dove la Compagnia rivestì un ruolo importantissimo nella riconquista del paese al cattolicesimo; allargò e migliorò il Collegio Germanico a Roma, che divenne una perfetta fucina di missionari adatti a operare in centro Europa per la restituzione alla Chiesa di vasti territori; sconfisse una certa opposizione ai gesuiti manifestatasi in Francia, riuscendo ad aprire anche lì un gran numero di collegi; infine, fu il promotore delle missioni gesuite nelle colonie spagnole d’America, aprendo tra il 1566 e il 1572 comunità in Florida, Messico e Perù. Ma anche quando si trovò così fortemente coinvolto nell’amministrazione della Compagnia, non trascurò mai la propria vita spirituale né le più concrete esigenze di carità cristiana.
Nel 1566, per esempio, in occasione di un’estesa epidemia di peste a Roma, si procurò grosse somme di denaro da devolvere in aiuto degli abitanti, inviando inoltre i propri preti ad accudire i malati negli ospedali e nelle zone più povere della città. Nel 1571 papa S. Pio V (30 apr.) ordinò a Francesco di percorrere Spagna e Portogallo, prendendo parte all’organizzazione della Lega cristiana contro i turchi.
Nonostante la salute ormai malferma, durante il viaggio predicò spesso e grandi folle lo ascoltarono. Morì il 30 settembre 1572, tre giorni dopo aver fatto ritorno a Roma. Fu beatificato nel 1624 e canonizzato nel 1671. Gli scritti di Francesco possono suddividersi in tre parti, corrispondenti alle tre fasi della sua vita. Ancora duca di Gandia, scrisse numerose opere spirituali per laici, pubblicate nel 1548. In esse si ritrovano i fondamenti della spiritualità di Francesco: un’umile consapevolezza della propria nullità in confronto a tutto ciò che Dio ha fatto per noi e il desiderio di vivere una vita di sofferenze e patire il martirio per contraccambiare l’amore di Dio.
Francesco amava utilizzare il termine
“confusione” per descrivere quale dovrebbe essere lo stato d’animo dei
cristiani qualora percepissero davvero in se stessi la mancanza di una
risposta adeguata al doni e alle richieste di Dio. La sua stessa auto-mortificazione fu durissima (riteneva
infatti di essere più meritevole di castigo di quanto non fosse stato
Giuda) e può essere spiegata solo dal paragone che egli costantemente
faceva tra la generosità di Dio e l’egoismo del peccatore.
Come gesuita, scrisse numerosi trattati di consigli spirituali per
i membri della propria famiglia e della Compagnia, nel più importante
dei quali, un componimento sulla preghiera, descriveva alcuni metodi di
orazione, aggiungendo consigli pratici per evitare le distrazioni, e
sottolineava l’importanza dei sacramenti per la vita di preghiera. Divenuto generale dei gesuiti, pose come scopo primario dei suoi scritti la santificazione dei membri della Compagnia.
È degna di nota la serie delle sue Meditazioni: alcune
sono basate sull’anno liturgico, altre si collegano alle feste dei
santi, altre ancora esortano a santificare ogni ora del giorno
attraverso la ripetizione mentale di preghiere e l’esame di coscienza.
L’approccio di Francesco alla preghiera è caratterizzato dall’uso di un
metodo chiaramente definito, centrato sugli esercizi spirituali
ignaziani.
Durante questi anni, Francesco tenne un Diario spirituale, documento preziosissimo per comprendere la vita interiore del santo: pregava
in continuazione per ottenere quelle grazie che sentiva necessarie,
desiderando essere talmente unito a Cristo da vivere solo per L u i ,
«come se il mondo non esistesse». Pregava per ricevere umiliazioni e
per sperimentare la croce di Cristo come castigo per non aver
abbandonato ogni cosa per Dio: «Cristo è stato crocifisso e io non ho
neanche una ferita». Le ultime due righe del diario, scritte nel 1570,
dicono: «Vorrei spargere il mio sangue per amore di Gesù ogni volta che
questo gli potesse essere di qualche utilità».
L’opposizione sorta contro Francesco e il
sospetto con cui alcune persone in Spagna continuarono a guardarlo
risultano evidenti dalle difficoltà che il santo ebbe con
l’Inquisizione. Nel 1559 alcuni suoi scritti, pubblicati in un’edizione clandestina insieme a opere di altri autori, furono messi all’Lidice dei
libri vietati e probabilmente la cosa dipese dall’opposizione
generalizzata a tutte le opere di spiritualità scritte in volgare, per il timore che potessero indurre i laici meno istruiti a devozioni non del tutto ortodosse. Nonostante
gli sforzi di Francesco e dei suoi amici per difendersi da tali
sospetti e rimuovere una tale macchia dalla Compagnia, fu solo qualche anno dopo la sua morte che l’inquisitore generale si decise a ritirare la condanna.
S.Francesco è un grande esempio
di uomo che, pur avendo enormi ricchezze e godendo di una posizione
elevatissima, diventa santo rinunciando a tutto per amore di Cristo. Nel
suo caso i superiori, ritenendo che la Chiesa avesse bisogno dei suoi
straordinari talenti, non gli permisero di condurre la vita solitaria
desiderata, ma il coinvolgimento nelle cose pubbliche, sia politiche che
religiose, non gli impedì di maturare una vita interiore di preghiera e
mortificazione. Fu un tipico suo tratto la scelta di entrare nei
gesuiti, congregazione nuova e poco conosciuta, soggetta a
incomprensione e a opposizione e gli sforzi sostenuti da Francesco a
vantaggio della Compagnia hanno fatto sì che molti guardino a lui come a
un secondo fondatore.
E’ INVOCATO: – contro i temporaliFonte: Il primo grande dizionario dei santi di Alban Butler
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