(ca. 1300-1349) 29 settembre
La devozione popolare nata dopo la sua morte giustifica l’attribuzione del titolo “beato” anche se il culto di Riccardo Rolle di Hampole non è mai stato confermato ufficialmente. Si raccontarono i miracoli avvenuti sul suo sepolcro e s’iniziarono le pratiche della canonizzazione. A York era stato persino preparato un Ufficio per la sua festa, pubblicato con un avvertimento: «L’Ufficio di S. Riccardo, eremita, da recitare dopo la sua canonizzazione da parte della Chiesa, perché nel frattempo non è permesso cantare le ore canoniche de eo in pubblico, né rendere la sua festa solenne, tuttavia, data l’evidenza della sua santità,possiamo venerarlo e chiedere la sua intercessione nelle preghiere private, e affidarci alla sua protezione». La causa di canonizzazione per qualche ragione non fu mai portata a termine, tuttavia le lezioni per il mattutino contenute nell’Ufficio restano, assieme con le sue opere, la fonte d’informazioni principale su questa figura importante della tradizione mistica inglese.
Riccardo nacque nel 1300 circa a Thornton (tradizionalmente identificata come Thornton-le-Dale, vicino a Pickering) nello Yorkshire settentrionale, e i suoi genitori, con l’aiuto del maestro Thomas Neville, successivamente arcidiacono di Durham, lo mandarono a Oxford, dove svolse gli studi per un breve periodo, ma che abbandonò all’età di diciotto o diciannove anni, senza laurearsi. In base al racconto contenuto nelle lezioni del suo ufficio, a questo punto ritornò subito a casa, chiese a sua sorella due o tre abiti, per farne una tonaca simile a quella indossata dagli eremiti. La sorella reputò espressamente che fosse impazzito, perciò Riccardo, temendo la reazione del padre, decise di lasciare furtivamente casa sua. Si narra che si sia recato nella chiesa di una parrocchia vicina (Topcliff), dove s’inginocchiò nel banco riservato al signore del villaggio, Giovanni Dalton, e che fu riconosciuto dai figli di quest’ultimo che erano stati a Oxford con lui.
Il giorno dopo era la festa dell’Assunzione (15 ago.) e Riccardo riapparve, questa volta indossando una cotta, e con il permesso del sacerdote «pronunciò un’omelia al popolo straordinariamente edificante, tanto da commuoverlo fino alle lacrime e dissero tutti di non aver mai udito un sermone così ricco di qualità e potenza». Dopo la Messa, Giovanni Dalton invitò Riccardo a cena, e dopo essersi accertato della sua buona fede, gli donò un posto dove vivere sulla sua proprietà, oltre a cibo, vestiti adatti, e tutto il resto necessario. Riccardo allora «cercò con la massima diligenza sia di giorno sia di notte, di perfezionare la sua vita e di cogliere ogni opportunità di migliorare la contemplazione ed essere devoto all’amore divino».
Questo racconto presenta alcuni problemi, ed è più che probabile che l’autore abbia esposto gli eventi in versione ridotta e semplificata, per rendere la storia più edificante agli occhi dei lettori. Riccardo stesso definisce la sua giovinezza «colpevole e peccatrice», e ciò, pur riconoscendo la sua umiltà, non si adatta a quanto è affermato nelle lezioni. E più probabile che gli eventi descritti non abbiano avuto luogo subito dopo aver lasciato Oxford, ma circa dieci anni dopo, quando aveva già circa ventotto anni e aveva fatto qualche esperienza di vita.
Può anche essere stato dottore di teologia, ma non un sacerdote (oggi sono tutti generalmente d’accordo che non fu mai ordinato), e questo concorderebbe con ciò che si racconta di lui in un martirologio inglese pubblicato nel 1608 da un sacerdote, John Wilson: «Fu prima dottore, e poi lasciò il mondo per fare l’eremita». Per alcuni anni Riccardo portò avanti la sua vita solitaria, ma non di clausura, sulle proprietà di Dalton;all’inizio soffrì molto in seguito alle privazioni estreme cui si sottoponeva: «Sono così debole e soffro di mal di testa così forti da non poter stare in piedi, a meno che non mi rinforzi ingerendo del cibo sano».
Gradualmente s’accorse che la virtù della moderazione avrebbe potuto essere maggiore: «È giusto che colui che usa valorosamente l’amore di Dio sia veramente forte, poiché il fisico è indebolito da malattie gravi al punto che spesse volte l’uomo non può pregare, e quindi a maggior ragione non può innalzarsi verso le cose elevate a cui aspira con ardore. Preferirei perciò che l’uomo fallisse per quanto riguarda la grandezza dell’amore piuttosto che per aver digiunato troppo». Per anni Riccardo sopportò di buon grado l’ostilità e le critiche cattive di alcune persone (tra cui alcuni di cui si era fidato in precedenza e che considerava amici leali), che pensavano che tutti coloro che vivevano nelle proprietà di un ricco signore non avrebbero potuto essere vicini a Dio.
Alla morte della moglie di Giovanni Dalton, Riccardo, «per ragioni molto urgenti e pratiche», lasciò la proprietà e si recò nella zona di Richmond, e in questo periodo sembra non abbia avuto nessuna residenza fissa, «cosicché, abitando in molti posti avrebbe potuto portare a molti il beneficio della salvezza». Un giovedì santo fu chiamato presso il letto di una reclusa e amica intima. Dame Margherita Kirkby, che per una quindicina di giorni era stata costretta a letto ed era incapace di parlare. Mentre si trovava là, la donna cade in un sonno profondo, durante il quale ebbe violente convulsioni, e al risveglio riuscì di nuovo a parlare; le sue prime parole furono Gloria tibi, Domine a cui Riccardo rispose con la seconda metà del versetto {qui natus es de Virgine) ricordandole di usare le sue parole «come una donna che parla per fare del bene». Alla fine, Riccardo si stabilì a Hampole, sulla strada per Wakefield a circa sei sette chilometri da Doncaster.
La sua cella si trovava vicino al priorato delle monache cistercensi, ma non è chiaro se fosse il loro cappellano o semplicemente un consigliere e un amico. Tutto il resto del tempo che non dedicava alla preghiera o a consigliare gli altri, Riccardo lo impiegava a scrivere. La sua opera più conosciuta è Incendium amoris (Il fuoco dell’amore), riguardo al quale afferma: «Cerco di spingere tutto il popolo all’amore, e sto impegnandomi nel mostrare il desiderio d’amore più forte e soprannaturale». Qualcuno pensa che avesse scritto quest’opera a Hampole, ma sembra più probabile che risalga a un periodo precedente (nel momento in cui si recò a Hampole scriveva solo o principalmente in inglese).Aveva tradotto e commentato i salmi per Margherita Kirkby (una copia era conservata nel priorato di Hampole); aveva scritto un libretto in inglese per una monaca benedettina a Yedingham; e ora s’accingeva a scrivere Commandament of Love to God per una delle monache di Hampole. Molte delle sue affermazioni si fondano direttamente sulla sua esperienza, e in precedenza potevano essere considerate autobiografiche, anche se ciò non si adatta mai bene, nonostante gli scrittori mistici abbiano tentato di combinare le sue opinioni sul progresso nella vita spirituale con lo schema classico in modo da perfezionarle, chiarirle e dar loro una certa unità; inoltre, sebbene parli di «consolazioni », non afferma nessuna delle rivelazioni e delle visioni dirette narrate da molti mistici, e per quanto si sa, le sue esperienze spirituali non erano accompagnate da nessun fenomeno fisico insolito. Sembra sia stato un metodo mistico molto pratico (forse solo molto inglese).
Non fu esente (e non lo è tuttora) dalle critiche. I suoi contemporanei più vicini a lui, Walter Hilton e l’autore di La nube della non conoscenza sospettavano dei suoi insegnamenti, e ci sono ancora alcuni che notano una mancanza di sviluppo nelle sue opere, in cui a volte può sembrare un po’ loquace, specialmente quando sente la necessità di giustificare il suo modo di vivere contro coloro che affermavano che gli eremiti erano pigri, inferiori ai sacerdoti e ai monaci. Ma la nota fondamentale del suo messaggio è gioiosa, come si può dedurre dalle parole: «Chi ama Dio in modo santo non si mostra mai né troppo felice, né troppo serio nel suo esilio, ma unisce l’allegria alla maturità. [...] Il riso, perciò, che proviene dalla luce e dalla vanità intellettuale dovrà essere biasimato, ma bisogna lodare quello che nasce veramente dalla felicità della coscienza e dello spirito, che si trova solo nel giusto, ed è definita gioia dell’amore di Dio».
Fonte: Il primo dizionario dei santi di Alban Butler
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