8 settembre 1652
Da Caracas sono 360 chilometri verso sud ovest: destinazione Guanare, dove il caldo appiccicoso della foresta tropicale non concede scampo. In questo luogo lontano e alquanto isolato è apparsa la Madonna nel 1652 a un capo indio di nome Coromoto.
Qui sorge da diversi anni un grandioso santuario, dedicato alla “Madonna della giungla”, dove si raccolgono testimonianze di guarigioni prodigiose e miracoli legati al culto di quella che per i cattolici del Sud-America è considerata un po’ come la “Lourdes del Venezuela”. E’ una storia affascinante, la sua, che parte da molto lontano, e che pone il Santuario di Coromoto fra le mete più interessanti del turismo religioso internazionale, anche se la sua fama non è così diffusa come avviene invece per Lourdes o Fatima o il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, in Messico.
Guanare fu fondata nel 1591 da un capitano spagnolo, ai margini della Sierra Nevada de Merida. Bisognava però convincere gli indios, abituati a vivere in libertà, ad uscire dalla foresta e a coltivare la terra. Impresa ardua. C’era una tribù, i Cospes, che dell’uomo bianco non ne voleva proprio sapere e preferì nascondersi tra le montagne. Di essi per vari decenni non si sentì più parlare, finchè al principio del 1652 accadde qualcosa.
Il capo tribù, il cacicco chiamato Coromoto, un giorno camminava lungo il rio Guanare con la moglie, quando sulle acque apparve una bellissima signora, che teneva in braccio un bambino radioso di luce. Coromoto e la moglie rimasero come paralizzati dalla visione, ma la signora sorridendo li rassicurò rivolgendosi ad essi nella loro stessa lingua.
“Esci dal bosco”, disse a Coromoto, “e va nel posto dove abitano i bianchi per ricevere l’acqua sulla testa e poter così andare in cielo”.
Queste parole furono pronunciate da Maria con tanta soavità e dolcezza che Coromoto si convinse immediatamente.
Quando poi l’estate seguente passò da quelle parti un coltivatore
spagnolo, tale Juan Sanchez, l’indio gli si parò davanti per
raccontargli quanto la bella Signora gli aveva ordinato un anno prima,
aggiungendo che tutta la sua tribù desiderava ricevere l’acqua sulla testa.
Dopo alcune lezioni di catechismo, gli indios furono battezzati, tutti tranne il cacicco, che rimpiangeva la vita della foresta e per amor di libertà non voleva legacci di sorta. A un capo indio, pensava, non si addiceva l’obbedienza all’uomo bianco, neanche davanti all’evidenza dell’apparizione cui aveva assistito.La sera dell’8 settembre 1652, era un sabato, gli indios neoconvertiti erano tutti riuniti per pregare la S. Vergine. Lo spagnolo Juan Sanchez aveva invitato pure Coromoto, ma il capo indio, sdegnato, era andato a chiudersi nella sua capanna di paglia.
Qui lo raggiunsero la moglie, la cognata e il figlioletto di quest’ultima, un piccolo indio di dodici anni. Erano passati solo pochi minuti quando l’umile capanna fu illuminata a giorno: all’ingresso c’era ancora quella Signora bellissima, che appariva luminosa come i raggi del sole a mezzogiorno.
Coromoto credette che lei fosse venuta per impedirgli di tornare nella sua amata foresta e dentro di sé sentì crescere il disappunto. “Fino a quando mi perseguiterai?”, gridò. “Te ne puoi anche andare”, aggiunse, “perché io non farò mai quello che mi ordini!”.
La moglie, vergognandosi di tanta mancanza di rispetto, lo ammonì: “Non parlare in questo modo alla bella Signora!”. Ma il cacicco, ormai in preda alla rabbia, afferrò il suo arco urlando: “Lascia che ti ammazzi!”.
A questo punto la bella Signora, che finora era rimasta sulla soglia, entrò nella capanna. Il capo indio allora le si lanciò addosso, cercando di afferrarle il collo per strozzarla. Ma in quello stesso istante la visione celeste sparì e la capanna ripiombò nell’oscurità.
L’apparizione era svanita, eppure Coromoto era sicuro di stringere qualcosa dentro il pugno. “L’ho presa!”, gridò alle due donne attonite. “La tengo qui nella mano!”.
“Faccela vedere”, dissero queste. Il capo indio aprì allora le dita e la capanna fu di nuovo illuminata a giorno. La luce proveniva da un piccolo pezzo di pergamena su cui era impressa una immagine della Madonna col Bambino. Era grande non più di una moneta.
Coromoto l’avvolse in una foglia e la nascose fra la paglia del letto. Il bambino indio, suo nipote, ebbe paura che lo zio volesse distruggere quella piccola pergamena e corse fuori della capanna fino alla casa di Juan Sanchez per raccontargli l’accaduto. Così lo spagnolo salvò l’immagine miracolosa.
Intanto però il cacicco aveva deciso di prendere la via dei monti, lontano dai bianchi e al sicuro, lui pensava, dalla bella Signora. Ma non riuscì ad allontanarsi dal villaggio: appena entrato nella foresta venne morso da un serpente velenoso. Era un castigo del cielo? Il capo indio lo interpretò come tale, e vedendosi ferito a morte decise finalmente di battezzarsi.
Passava di lì per caso un creolo di Barinas, che – come è consentito a
ogni cristiano in casi di estrema necessità – gli amministrò il
battesimo. Coromoto entrò in agonia e morì di lì a poco, dopo aver raccomandato a tutti i suoi indios di rimanere con i bianchi.L’immagine miracolosa della Vergine restò per più di un anno in casa di Juan Sanchez, finchè il primo febbraio 1654 fu trasferita con una solenne processione a Guanare.
Lì è rimasta fino al 1949, quando è stata riportata sul luogo dell’apparizione, e dal 1985 si trova nella base di legno della statua della Madonna destinata al nuovo Santuario. È una pergamena in miniatura, grande 27 millimetri per 22, racchiusa dentro un ovale d’oro, e non dipinta da mani umane.
Vent’anni di duro lavoro e due miliardi di bolivar, oltre venti miliardi di vecchie lire. Tanti ce ne sono voluti per mettere in piedi il modernissimo Santuario di Nostra Signora di Coromoto, a Guanare, che ora svetta maestoso verso il cielo con le sue linee armoniose, assolutamente magnifiche. L’edificio, che può accogliere fino a seimila fedeli ed è grande come un campo di calcio, è stato progettato dall’architetto Erasmo Calvani. L’interno, una navata unica e senza colonne, prende luce da una immensa vetrata di 330 metri quadri, costruita a Monaco di Baviera. L’altare maggiore è collocato nel luogo preciso dell’apparizione della Madonna.
Una cattedrale spettacolare e grandiosa, destinata a contendere alla messicana Guadalupe il primato del culto mariano nel Centro-Sud America. La sua grande spianata, all’esterno, può arrivare ad accogliere fino a mezzo milione di fedeli. I venezuelani sono molto legati a questo luogo sacro. Coromoto è un santuario dove si intrecciano storie di speranze, guarigioni e miracoli prodigiosi. Sono molte centinaia infatti i prodigi che si attribuiscono a questa straordinaria “Lourdes dell’America Latina”. Storie di fede e di amore. Come quella di Padre Alvarez, che aveva buttato la propria tonaca alle ortiche e si era messo a fare il camionista lungo la costa del Venezuela.
Una notte il suo autocarro si ferma all’improvviso, sembra rotto. Altri camionisti accorrono per dargli aiuto, cercano in ogni modo di riparare il mezzo, che però non ne vuole proprio sapere di ripartire. Ma ecco che arriva trafelata una ragazzina: “Mia nonna sta morendo, e mi ha mandata qui a chiedere se c’è un prete che può venire a confessarla“. I camionisti sono meravigliati; per quel che ne sanno loro non c’è nessun prete in mezzo ad essi, ma Alvarez rivela: “Sono io. Non ve l’ho mai detto, ma io sono un sacerdote, anche se ho smesso l’abito. Ho il dovere di aiutare questa donna che sta morendo“.
La casa non è molto distante da lì. Alvarez entra, confessa la vecchia moribonda, poi non sa più resistere alla domanda che gli rode dentro: “Signora, come faceva a sapere che sulla strada c’era un prete?” – “Me l’ha detto la Vergine di quel quadro” – risponde lei, additando la sacra immagine che tiene nella stanza –; “mi ha detto che c’era un prete, fermo per un incidente, e di mandarlo a chiamare“. Alvarez guarda meglio l’immagine sul muro: è una stampa di ‘Nostra Signora di Coromoto’. Una volta poi tornato in strada si accorge, con grande meraviglia, che il suo camion adesso può ripartire senza difficoltà. Dopo qualche giorno il sacerdote ritornò a vestire il suo abito talare.
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