Frate cappuccino (1686-1770) 22 Settembre
Lorenzo Maurizio Belvisotti, quarto tra i sei figli di Pierpaolo e Maria Elisabetta Balocco, famiglia agiata, nacque il 5 giugno 1686 a Santhià nella diocesi di Vercelli. Si sa poco della sua infanzia, a parte il fatto che il padre morì quando Lorenzo aveva appena sette anni, e per il resto molto materiale antico è agiografia stereotipata che non rivela molti dettagli sulla sua identità. La semplice narrazione degli eventi della sua vita è più chiara: la madre ne affidò l’educazione, in particolare quella religiosa, a un sacerdote del luogo, e in breve il ragazzo decise di abbracciare la vita ecclesiastica. Frequentò il seminario locale, dove ricevette l’ordinazione, e subito dopo divenne canonico della chiesa collegiata a Santhià, con l’incarico di parroco.Il bel Paradiso non è fatto per i poltroni: lavoriamo dunque! É disdicevole, per genteche professa una regola austera, la troppa sollecitudine per non patire, essendo il patire tutto proprio di chi ama il Signore. Se il Sommo Pontefice ci mandasse da Roma un pezzetto della Santa Croce, la riceveremmo con gran riverenza e devozione, e lo ringrazieremmo di un tanto onore e favore. Gesù Cristo, Sommo Pontefice, ci ha mandato dal cielo parte di sua croce, che sono i mali che soffriamo portiamola per suo amore e sopportiamola con pazienza e lo ringrazi di un tanto favore. (S. Ignazio da Santhià)
Certo anche l’amore ha il suo rigore: il maestro era irremovibile sul principio dell’abneget semetipsum; ma qui appunto brillava il suo talento pedagogico. Egli sapeva entusiasmare i giovani alla virtù, al sacrificio, né voleva imporre un atto di rigore che non fosse entrato prima nel “gioco dell’amore “, come usava esprimersi. La somma discrezione e la tenerezza definita “materna” gli accaparrarono somma venerazione e irresistibile penetrazione educativa nello spirito dei suoi giovani.
Ad un novizio, divenuto missionario nel Congo, ossia Bernardino da Vezza, e impedito per una grave oftalmia di continuare nell’attività apostolica, fece dono dei propri occhi addossandosi la malattia del discepolo con un atto eroico. Il missionario guarì, ma il povero maestro fu colpito così violentemente dal male da vedersi costretto a
Ufficialmente Ignazio non fu predicatore ma, quando l’obbedienza lo incaricò di tenere ogni domenica il catechismo ai fratelli laici e poi di predicare gli esercizi spirituali alla famiglia religiosa del Monte, non esitò ad accettare; il successo fu tale che ai suoi catechismi intervenivano anche i superiori, i professori di teologia e i predicatori con grande entusiasmo. Dei due corsi di esercizi spirituali annuali, uno era sempre riservato a lui ed era il più frequentato; anzi volevano intervenire anche i religiosi assegnati all’altro corso “allettati dallo spirito che parlava in lui”.
“Parlava a tutti con libertà evangelica e senza adulazione, accoppiando rispetto e verità nel riguardo dei superiori, da lui considerati come maestri”. Le sue osservazioni praticissime sapevano arrivare così a proposito che “curavano le piaghe senza inasprirle, anzi con aggradimento e profitto di tutti”. A chi gli osservò un giorno che le sue parole circa i doveri dei superiori cantavano un po’ troppo chiaro, P. Ignazio rispose con dignità e sicurezza: “Io parlo di tutti e di nessuno; quanto dico, lo leggo sul Crocifisso”. Le sue parole non erano che brevi scintille del grande incendio che gli divampava nell’anima e lo moveva a fare assai più di quanto proponeva ai confratelli; sicché tutti sentivano in lui uno di quei “grandi nel regno dei cieli, che prima fanno e poi insegnano”.
Per quattordici anni fu maestro dei novizi, assistendo anche i soldati ricoverati negli ospedali militari, durante la guerra che scoppiò in quella zona nel 1743.
Fonte: Il grande dizionario dei santi di Alban Butler /http://www.fraticappuccini.it/new_site/index.php/chi-siamo/dove-siamo/santi/133-sant-ignazio-da-santhia-1686-1770.html
Nessun commento:
Posta un commento