domenica 22 settembre 2013

Sant’Ignazio da Santhià

Frate cappuccino (1686-1770) 22 Settembre
Il bel Paradiso non è fatto per i poltroni: lavoriamo dunque! É disdicevole, per gente S. Ignazio da Santhiàche professa una regola austera, la troppa sollecitudine per non patireessendo il patire tutto proprio di chi ama il Signore. Se il Sommo Pontefice ci mandasse da Roma un pezzetto della Santa Croce, la riceveremmo con gran riverenza e devozione, e lo ringrazieremmo di un tanto onore e favore. Gesù Cristo, Sommo Pontefice, ci ha mandato dal cielo parte di sua croce, che sono i mali che soffriamo portiamola per suo amore e sopportiamola con pazienza e lo ringrazi di un tanto favore. (S. Ignazio da Santhià)
Lorenzo Maurizio Belvisotti, quarto tra i sei figli di Pierpaolo e Maria Elisabetta Balocco, famiglia agiata, nacque il 5 giugno 1686 a Santhià nella diocesi di Vercelli. Si sa poco della sua infanzia, a parte il fatto che il padre morì quando Lorenzo aveva appena sette anni, e per il resto molto materiale antico è agiografia stereotipata che non rivela molti dettagli sulla sua identità. La semplice narrazione degli eventi della sua vita è più chiara: la madre ne affidò l’educazione, in particolare quella religiosa, a un sacerdote del luogo, e in breve il ragazzo decise di abbracciare la vita ecclesiastica. Frequentò il seminario locale, dove ricevette l’ordinazione, e subito dopo divenne canonico della chiesa collegiata a Santhià, con l’incarico di parroco.
S. Ignazio da Santhià1Tra lo stupore e lo sgomento dei parenti, che si auguravano ascendesse rapidamente al successo ecclesiastico, Lorenzo rifiutò, e dentro invece nei frati minori cappuccini, con il nome d’Ignazio, pronunciando i voti nel 1717. “Ma perché rompere sì bella carriera così feconda di frutti spirituali?”. Fu l’obiezione del padre provinciale. “Padre, sopra questi trionfi il mio cuore non riposa. Sento in fondo all’anima una voce che mi ripete: Se vuoi trovare pace devi fare la volontà di Dio attraverso l’obbedienza”. Così don Belvisotti divenne fra Ignazio da Santhià nel noviziato di Chieri il 24 maggio 1716. La sua fermezza nel tendere alla perfezione, l’osservanza piena, premurosa, spontanea e gioiosa della vita cappuccina, gli attirarono l’ammirazione anche dei più anziani religiosi del noviziato.
Nei successivi venticinque anni dedicò gran parte del tempo alla guida spirituale, diventando un confessore molto richiesto dalla gente appartenente a ogni ceto sociale. In quattordici anni di magistero il beato firmò la professione di 121 novizi, alcuni dei quali, distintisi nella virtú, moriranno in fama di santità. Commoventi le testimonianze di questi religiosi circa la virtù del loro maestro. P. Ignazio sapeva infondere nei giovani la passione per l’osservanza della regola e delle costituzioni; il suo genio brillava nel ricondurre la varietà delle pratiche all’unità del loro principio generatore: l’amore.
Certo anche l’amore ha il suo rigore: il maestro era irremovibile sul principio dell’abneget semetipsum; ma qui appunto brillava il suo talento pedagogico. Egli sapeva entusiasmare i giovani alla virtù, al sacrificio, né voleva imporre un atto di rigore che non fosse entrato prima nel “gioco dell’amore “, come usava esprimersi. La somma discrezione e la tenerezza definita “materna” gli accaparrarono somma venerazione e irresistibile penetrazione educativa nello spirito dei suoi giovani.
Ad un novizio, divenuto missionario nel Congo, ossia Bernardino da Vezza, e impedito per una grave oftalmia di continuare nell’attività apostolica, fece dono dei propri occhi addossandosi la malattia del discepolo con un atto eroico. Il missionario guarì, ma il povero maestro fu colpito così violentemente dal male da vedersi costretto a S. Ignazio da Santhià2lasciare l’ufficio “con sommo rincrescimento di tutta la famiglia religiosa”. Il beato non si pentì mai di questa offerta, né si meravigliò di quella malattia: la croce doveva ben portarla qualcuno! Esonerato dall’ufficio di maestro di noviziato, P. Ignazio non si credette un soggetto da pensione, e continuò al Monte di Torino la sua efficace opera di insegnamento ai religiosi.
Ufficialmente Ignazio non fu predicatore ma, quando l’obbedienza lo incaricò di tenere ogni domenica il catechismo ai fratelli laici e poi di predicare gli esercizi spirituali alla famiglia religiosa del Monte, non esitò ad accettare; il successo fu tale che ai suoi catechismi intervenivano anche i superiori, i professori di teologia e i predicatori con grande entusiasmo. Dei due corsi di esercizi spirituali annuali, uno era sempre riservato a lui ed era il più frequentato; anzi volevano intervenire anche i religiosi assegnati all’altro corso “allettati dallo spirito che parlava in lui”.
Parlava a tutti con libertà evangelica e senza adulazione, accoppiando rispetto e verità nel riguardo dei superiori, da lui considerati come maestri”. Le sue osservazioni praticissime sapevano arrivare così a proposito che “curavano le piaghe senza inasprirle, anzi con aggradimento e profitto di tutti”. A chi gli osservò un giorno che le sue parole circa i doveri dei superiori cantavano un po’ troppo chiaro, P. Ignazio rispose con dignità e sicurezza: “Io parlo di tutti e di nessuno; quanto dico, lo leggo sul Crocifisso”. Le sue parole non erano che brevi scintille del grande incendio che gli divampava nell’anima e lo moveva a fare assai più di quanto proponeva ai confratelli; sicché tutti sentivano in lui uno di quei “grandi nel regno dei cieli, che prima fanno e poi insegnano”.
Per quattordici anni fu maestro dei novizi, assistendo anche i soldati ricoverati negli ospedali militari, durante la guerra che scoppiò in quella zona nel 1743.
S. Ignazio da Santhià3Nel 1756 circa, andò a vivere nel convento dei cappuccini, del Monte, a Torino, dove trascorse il resto della vita insegnando il catechismo e offrendo rifugio ai religiosi. Non si sa quante opere scrivesse sui propri insegnamenti, ma è stato tramandato un libro. Meditazioni per un corso di esercizi spirituali, infine pubblicato a Roma nel 1912.
L’agonia lo colse raggiante. “Padre guardiano, si legge di certi santi che di fronte alla morte tremarono; io, invece mi sento tanto tranquillo al punto che temo di confidare troppo; mi faccia la carità di un suo consiglio!”. La voce rassicurante di chi faceva le veci di Dio lo tranquillizzò. Suonava la mezzanotte del 22 settembre 1770, all’invito del superiore: “Partiti, anima cristiana… Amen”, il padre Ignazio, come rispondendo all’appello per ricevere un’ambita onorificenza, compiva il suo ultimo viaggio. Ignazio morì in pace a Torino e la fama della sua santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione fecero presto avviare il processo di canonizzazione. E’ stato beatificato da papa Paolo VI (1963-1978) il 17 aprile 1966. Proclamato santo il 19 maggio 2002.
Fonte: Il grande dizionario dei santi di Alban Butler /http://www.fraticappuccini.it/new_site/index.php/chi-siamo/dove-siamo/santi/133-sant-ignazio-da-santhia-1686-1770.html

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