domenica 14 dicembre 2014

SAN GIOVANNI DELLA CROCE

SAN GIOVANNI DELLA CROCE

dottore della Chiesa (1542 – 1591) 14 dicembre
Santa Teresa D’Avila lo trovava ostinato e di vedute ristrette, san giovanni della crocema apprezzava la sua spiritualità e la qualità della sua guida a tal punto da prenderlo come confessore e guida. Imprigionato e torturato per fargli cambiare ordine con una roccambolesca fuga sarà assistito proprio dalle sue sorelle carmelitane.
Nacque a Fontiveros, tra Ayila e Salamanca nel 1.542; il padre di Giovanni, Gonzalo, proveniva da una famiglia prosperosa di mercanti della seta di Toledo, ma fu diseredato per aver sposato una giovane povera e diventò tessitore di seta per sostenere la famiglia.

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Morì quando Giovanni aveva quasi un anno, lasciando la vedova, Caterina, in povertà estrema, sola e con tre figli. La Famiglia attraversò un periodo di grandi privazioni, soffrendo il freddo e la fame; inoltre uno dei figli, Luigi, morì. Giovanni fu mandato in un orfanotrofio a Medina del Campo, dove fu nutrito, vestito e istruito. A quattordici anni diventò apprendista di un carpentiere, poi di un intagliatore di legno e di uno stampatore, ma non era portato per nessuno di questi mestieri. Alla fine trovò lavoro come infermiere in un ospedale fuori città, popolarmente conosciuto come Hospital de las Bubas. Bubobuba in spagnolo significa “piaga” o “tumore”, infatti si trattava di un ricovero per pazienti affetti da malattie veneree. Qui il suo amore per i malati e i poveri crebbe, e anche la disponibilità a svolgere i lavori più umili e spiacevoli. Lavava, puliva e bendava i pazienti nelle condizioni più repellenti, inoltre cantava per loro canti popolari e li faceva ridere. Il suo atteggiamento retto e onesto con la gente, ecclesiastici o laici, ricchi e poveri, uomini e donne, è sottolineato ripetutamente nelle  biografie.

L’amministratore dell’ospedale, notando la sua diligenza e intelligenza, lo mandò al collegio dei gesuiti all’età di diciassette anni, offrendogli di diventare cappellano dell’ospedale, a patto di diventare sacerdote. Giovanni studiò il latino e scienze umanistiche per quattro anni, ma si sentiva sempre più chiamato alla vita monastica. Una notte bussò alla porta del priorato dei  carmelitani a Sant’Anna e chiese di entrare nell’ordine. Fu accolto e pronunciò la professione l’anno seguente, scegliendo il nome di fra Giovanni di San Mattia; fu inviato all’università di Salamanca, che era in quel tempo il centro teologico principale della Spagna, dove uno dei suoi tutori era lo studioso biblico e poeta p. Luigi de Leon. Giovanni s’impegnò molto, studiò il più possibile e condusse una vita umile e asceticaNon era molto popolare presso i suoi compagni di studi, che si lamentavano del fatto che era sempre chino sui libri e li rimproverava perché non conversavano e si comportavano in modo appropriato.
Giovanni fu ordinato sacerdote nel 1567 e ritornò a Medina per celebrare la prima Messa alla presenza di sua madre, come d’abitudine; in quest’occasione, il priore del convento carmelitano, Antonio de Heredia, gli combinò un incontro con Teresa d’Avila (15 ott). […] Giovanni frequentò l’ultimo anno del corso di teologia a Salamanca e poi raggiunse Antonio in un piccolo convento a Duruclo, a circa otto chilometri da Avila, dove indossò l’abito dei carmelitani, scalzi e scelse il nome religioso di Giovanni della Croce. La madre e il fratello Francesco, che forse aveva dei disturbi mentali, lo raggiunsero per aiutare i frati nella conduzione della casa. Nel 1570, Giovanni fu nominato rettore di un centro di studi ad Alcalà, dove soffrì per alcune crisi spirituali e tentazioni(esperienza che poi sfruttò molto, nello svolgimento delle sue funzioni pastorali, nell’insegnamento e nelle sue opere).
Nel 1571, Teresa d’Avila diventò priora del convento carmelitano dell’Incarnazione non riformato e chiese a Giovanni di essere suo confessore e guida spirituale. Avevano un rapporto di fiducia (a quanto pare Teresa cucì con le sue mani la prima tonaca di Giovanni), ma non tenero. La prima, energica e pratica, voleva vedere dei risultati, il secondo aveva un carattere puramente contemplativo e non badava ai dettagli, ma come suo confessore, nonostante la giovane età e la bassa statura, non aveva scrupoli nell’esercitate la sua autorità sacerdotale su di lei. Spesso Teresa lo trovava ostinato e di vedute ristrette, ma apprezzava la sua spiritualità e la qualità della sua guida.
L’atteggiamento dei Carmelitani dell’Osservanza non riformati 3chi_sangiovanniverso quelli scalzi si stava irrigidendo, e mentre Teresa era protetta da Filippo II, Giovanni non lo era. I carmelitani s’appellarono al generale del loro ordine, che mandò fra Geronimo Tostado in Spagna, con piena autorità di trattare con i carmelitani scalzi. Giovanni fu catturato e imprigionato a Medina dall’ordine, tra il 1575-1576 e liberato solo per ordine del nunzio apostolico, che tuttavia morì. Il suo successore appoggiava Tostado: nel 1577 Giovanni fu catturato di nuovo e detenuto nel convento carmelitano a Toledo.
La storia della sua prigionia è ben documentata; dopo la sua morte, i frati e le monache che lo conoscevano bene offrirono una serie di deposizioni a testimonianza delle privazioni che aveva sopportato nella cella della prigione. Queste testimonianze talvolta differiscono nei dettagli minori, come in genere tutti i racconti dei testimoni, ma le circostanze generali sono abbastanza chiare. Trascorse la maggior parte del tempo al buio totale; c’era una finestrella in alto sul muro, larga pochi centimetri, ma non si affacciava all’esterno del convento, quindi riusciva a leggere l’Ufficio divino solo per brevi intervalli, quando qualche raggio di sole penetrava nella sua cella per pochi minuti, ed era costretto a stare in piedi su una pietra (o forse su una panca).
La cella era gelida d’inverno e soffocante d’estate, e Giovanni vi trascorse otto mesi e mezzo, senza poter comunicare con nessuno eccetto che con il suo frate carceriere, che lo trattava con odio e lo calunniava. Era quasi ridotto alla fame e infestato dai parassiti, inoltre veniva regolarmente flagellato in capitolo, per costringerlo a cambiare idea e ad abbandonare i carmelitani scalzi: ne portò i segni per tutta la vita.
Gli giunse poi la falsa notizia che anche S. Teresa d’Avila si trovava in prigione, e che lui sarebbe morto nella propria cella. Giovanni temeva che stessero avvelenandolo lentamente; non poteva leggere, né scrivere (solo negli ultimi giorni di prigionia, un carceriere meno crudele gli portò del materiale per scrivere e una candela). La sua paura più grande era aver sbagliato a disobbedire ai superiori  dell’ordine, dopo tutto, con il rischio perciò di perdere la sua anima.
In questa situazione di  sfinimento e di privazione, Giovanni crebbe spiritualmente e in modo profondo; a questo punto compose alcune delle sue poesie migliori. Nell’agosto 1578, durante l’ottava della festa dell’Assunzione, decise di tentare la fuga; era riuscito a manomettere la serratura della porta, poi strappò due pezzi di stoffa in modo da formare una corda. Durante la notte, scese lungo le alte mura del monastero, ma purtroppo scoprì di essere finito nel chiostro del convento femminile. Confuso e invocando la Vergine Maria, riuscì a scappare scavalcando e attraversando le mura del convento, poi quelle della città, verso il fiume Tago, vicino al ponte d’Alcantara.
Vedendolo barcollante, scalzo ed esausto, per le strette strade cittadine, la gente pensava che fosse ubriaco e lo rincorreva, ma Giovanni riuscì a raggiungere il convento delle carmelitane scalze, che erano appena uscite dalla cappella. Alla ruota chiese di vedere la reverenda madre; la suora che gli aprì la porta, Isabella di S. Geronimo, affermò nella sua deposizione che Giovanni sembrava sul punto di morire. La priora, quando sopraggiunse, notò quanto fosse vicino al collasso e in grave pericolo, e mandò a chiamare altre due suore, ordinando di aprire i tre lucchetti che serravano la porta del convento: anche se in circostanze normali questo avrebbe rappresentato una grave violazione delle regole, trovò la scusa che una monaca malata desiderava confessarsi; poi le monache assistettero Giovanni, curarono le ferite e gli portarono pere stufate con cannella, tutto ciò che era in grado di mangiare.
Quando giunsero i frati e il connestabile a cercarlo, la priora rifiutò di farli entrare, così i monaci perlustrarono la chiesa e la parte esterna dell’edificio, ma non osarono violare la clausura. Quando se ne furono andati, Giovanni si recò in chiesa e cominciò a dettare i suoi componimenti; ne teneva alcuni in un libretto che si era portato con sé dallaprigione, e ne aveva altri in mente. Madre Maddalena del Santo Spirito, del convento di Beas, dove Giovanni era stato confessore per qualche anno dopo la fuga, scrisse un resoconto della sua vita, e accenna al fatto di aver visto il libretto. Giovanni le permise di farne una copia, ma qualcuno lo sottrasse dalla cella della priora. […]
Giovanni conosceva a memoria quasi tutta la Bibbia, e sembra probabile che ciò che riuscì a completare in prigione fosse stato largamente basato su fonti bibliche. La mattina dopo, don Fedro Gonzalez de Mendoza, un canonico della cattedrale e membro di una famosa famiglia ben disposta verso i carmelitani scalzi, prese Giovanni sotto la sua protezione. […] Visse molto semplicementeSvolse i compiti più umili come esempio per gli altri, oltre ad avere il pesante fardello degli incarichi: si dedicò alla fondazione di nuovi conventi, a insegnare e istruire i frati e le suore, e scrivere opere in prosa. Alla morte di Teresa nel 1582, Giovanni incontrò la crescente opposizione non solo dei carmelitani di antica osservanza, ma anche di quelli scalzi; nel 1591 fu privato di tutti i suoi uffici e inviato nel convento remoto a La Penuela, in veste di semplice frate.
Giovanni aveva predetto che sarebbe stato «preso e gettato in un angolo come un vecchio straccio da cucina». Furono fatti inutili tentativi di raccogliere contro di lui false prove della sua condotta scandalosa con l’intenzione di farlo espellere dall’ordine, e quando Giovanni s’ammalò, si recò al convento di Ubeda, dove fu maltrattato da un priore
ostile e vendicativo. Soffrì molto, ma si sottomise con coraggio e allegria alle umiliazioni a lui riservate.
Antonio de Heredia, che a questo punto era molto vecchio, lasciò Granada, nonostante fosse inverno, per andarlo a trovare; rimase sconvolto nel vedere le sue condizioni di negletto e derelitto, ma Giovanni era quasi trapassato, e faceva fatica a parlare.
Morì nei primi minuti del 14 dicembre 1591, nel momento in cui il coro cominciò a cantare il mattutino. Le poesie e le opere in prosa di Giovanni della Croce sono state tradotte in diverse lingue e pubblicate in varie edizioni. Giovanni della Croce fu beatificato nel 1675, canonizzato nel 1726, e dichiarato dottore della Chiesa universale nel 1926. Il culto non è stato limitato al suo ordine, ma si è esteso in tutta la Chiesa e dovunque vi sia interesse per la vita contemplativa.
 Fonte: Il grande dizionario dei Santi di Alban Butler

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